Referendum trivelle: chiariamoci le idee

ambiente

Il 17 aprile 2016 i cittadini italiani sono chiamati alle urne per dire la loro su una questione importante, che riguarda il nostro Paese, i nostri mari, e l’orientamento energetico dell’Italia. Eppure, sono veramente poche le occasioni in cui se ne parla.
Ecco perché abbiamo deciso di dare una mano a tutti voi che seguite i nostri progetti e i nostri eventi, nella ricerca di informazioni, per arrivare al referendum pronti per votare.

Ai cittadini verrà chiesto di decidere sull’abrogazione dell’articolo 6 comma 17 del Codice dell’Ambiente, nella parte in cui prevede che le trivellazioni all’interno delle acque territoriali italiane (quindi entro 12 miglia dalla costa) possano proseguire, con proroghe varie, fino all’esaurimento del giacimento. Nel caso in cui al referendum vincesse il NO, o non si raggiungesse il quorum (perché il referendum sia valido, è necessario che si rechino al voto il 50%+1 degli aventi diritto), in pratica le trivellazioni per cui sono già state rilasciate delle concessioni, non scadrebbero quando previsto, ma solo quando non ci sarebbe più niente da estrarre. Se invece, al referendum vincesse il Sì, la durata delle concessioni scadrebbe come prefissato, senza possibilità di proroghe.

Per comprendere meglio le ragioni del Sì e del No, riportiamo qualche stralcio di un interessante articolo pubblicato su Il Post, di cui QUI potete leggere la versione integrale.

Perché votare Sì

Secondo i vari comitati “No-Triv”, appoggiati dalle nove regioni che hanno promosso il referendum e da diverse associazioni ambientaliste come il WWF e Greenpeace, le trivellazioni andrebbero fermate per evitare rischi ambientali e sanitari. I comitati per il No ammettono che, per una serie di ragioni tecniche, è impossibile che in Italia si verifichi un disastro come quello avvenuto nell’estate del 2010 nel Golfo del Messico, quando una piattaforma esplose liberando nell’oceano 780 milioni di litri di greggio, ma sostengono che un disastro ambientale in caso di gravi malfunzionamenti di uno degli impianti sia comunque possibile.
Alcuni aderenti ai comitati per il Sì hanno anche parlato dei danni al turismo che avrebbero arrecato le piattaforme. È importante sottolineare, però, che il referendum non impedirà nuove trivellazioni (che sono già vietate) né la costruzione di nuove piattaforme, ma solo lo sfruttamento di quelle già esistenti.

Questa settimana Greenpeace ha pubblicato uno studio realizzato dall’ISPRA, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca, che mostra come tra il 2012 e il 2014 ci siano stati dei superamenti dei livelli stabiliti dalla legge per gli agenti inquinanti nel corso della normale amministrazione di alcuni dei 130 impianti attualmente in funzione in Italia. Non sembra però che i valori fossero particolarmente preoccupanti.

Gli stessi promotori del referendum sottolineano che l’inquinamento non è la priorità che ha reso necessario il referendum. La ragione principale, spiegano, è “politica”: dare al governo un segnale contrario all’ulteriore sfruttamento dei combustibili fossili e a favore di un maggior utilizzo di fonti energetiche alternative.

Come affermano i Comitati No-Triv:
«Il voto del 17 Aprile è un voto immediatamente politico, in quanto, al di là della specificità del quesito, residuo di trabocchetti e scossoni, esso è l’UNICO STRUMENTO di cui i movimenti che lottano da anni per i beni comuni e per l’affermazione di maggiori diritti possono al momento disporre per dire la propria sulla Strategia Energetica nazionale che da Monti a Renzi resta l’emblema dell’offesa ai territori, alle loro prerogative, alla stessa Costituzione italiana».

Le ragioni di chi è a favore del No

Contro il referendum è stato fondato il comitato “Ottimisti e razionali” […] Il comitato sostiene che continuare l’estrazione di gas e petrolio offshore è un modo sicuro di limitare l’inquinamento: l’Italia estrae sul suo territorio circa il 10 per cento del gas e del petrolio che utilizza, e questa produzione ha evitato il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere negli ultimi anni.

Una vittoria del sì avrebbe poi delle conseguenze sull’occupazione, visto che migliaia di persone lavorano nel settore e la fine delle concessioni significherebbe la fine dei loro posti di lavoro. Nella provincia di Ravenna il settore dell’offshore impiega direttamente o indirettamente quasi settemila persone.
L’aspetto “politico”, infine, è una delle principali ragioni per cui il referendum è stato criticato. Il referendum, secondo gli “Ottimisti e razionali”, è lo strumento sbagliato per chiedere al governo maggiori investimenti nelle energie rinnovabili.

Conclusioni?
Vi consigliamo, inoltre, di leggere con attenzione QUESTO articolo pubblicato su ASPO-Italia, (Association for the Study of Peak Oil) il cui scopo principale è lo studio del Picco del Petrolio, delle sue gravi conseguenze sui sistemi ecologici, economici e sociali, e della mitigazione di questi effetti. Dario Faccini, ingegnere ed esperto indipendente di petrolio, dati alla mano, cerca di rispondere a molti dubbi e perplessità.

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